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Società estinte, crediti risorti?

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Nuove opportunità di recupero per creditori e soci dopo la cancellazione di una società

Il credito sopravvive alla società? Le svolte recenti

«Il debitore non ama la porta del creditore», ammoniva Publilio Siro. Figurarsi la soddisfazione di certi debitori quando il loro creditore “sparisce” perché la società cui dovevano dei soldi viene cancellata dal Registro delle Imprese. Per molto tempo, infatti, la chiusura di una società ha rappresentato la fine anche dei suoi crediti incerti o non ancora esigibili: si presumeva che, non inserendoli nel bilancio finale di liquidazione, la società vi rinunciasse tacitamente. Questo orientamento, basato sul dogma della rinuncia implicita, lasciava molti ex soci rassegnati a perdere somme importanti e molti debitori sollevati da ogni obbligo. Oggi, però, quel dogma è caduto. La Corte di Cassazione, con una pronuncia epocale, ha cambiato le carte in tavola: la fine della società non è la fine dei suoi crediti.

Cassazione 2025: i crediti “dimenticati” non si perdono

La svolta arriva dalla Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 19750/2025, che ha smantellato la presunzione di rinuncia ai crediti non riportati nel bilancio finale. La Suprema Corte ha ricordato un principio antico ma quanto mai attuale: Nemo praesumitur donare. In altre parole, nessuno è mai presunto rinunciare gratuitamente a un proprio diritto. Se un credito non è stato inserito in bilancio, non è perché la società ha scelto di “regalarlo” al debitore, ma spesso solo perché le regole contabili vietavano di iscrivere attività dal risultato incerto. D’ora in poi, dunque, quei crediti non svaniscono nel nulla: sopravvivono alla cancellazione della società. Si trasferiscono ai soci che, sciolta la società, ne erano i titolari residui.

Cosa significa in pratica? Che gli ex soci possono recuperare il credito in prima persona. Se la tua società ha chiuso ma vantava ancora fatture non pagate o crediti verso clienti, fornitori o altri soggetti, hai la possibilità di agire per recuperarli. Non serve più rimpiangere somme apparentemente perdute: la legge ora ti riconosce il diritto di farle valere. Sarà necessario dimostrare l’esistenza del credito e la sua riferibilità alla vecchia società, ma nessun debitore potrà più opporre la semplice cessazione della società come scusa per non pagare. La Cassazione ha chiarito che l’inerzia o il silenzio del liquidatore non equivalgono a una remissione del debito: per rinunciare a un credito serve una volontà chiara, espressa e comunicata al debitore. In assenza di ciò, il credito rimane vivo e azionabile, passando in capo ai soci. È un cambiamento cruciale che tutela il diritto di proprietà e scongiura ingiusti arricchimenti del debitore moroso.

Debiti della società estinta: i soci ne rispondono?

L’altro lato della medaglia riguarda chi vanta crediti nei confronti di una società estinta. Fino a che punto la chiusura di una società protegge i suoi soci dai debiti rimasti insoluti? Anche su questo fronte il 2025 ha portato chiarezza. La regola generale (art. 2495 c.c.) stabilisce che, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono agire contro i soci, ma solo entro il limite di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione. In pratica, i soci di una S.r.l. o S.p.A. non diventano automaticamente debitori personali per tutte le obbligazioni sociali: rispondono solo se hanno incassato qualcosa dalla liquidazione, e comunque nei limiti di quelle somme.

Una recente sentenza della Cassazione ha confermato e affinato questo principio. Parliamo della Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 3625/2025, pronunciata in materia di debiti tributari di società estinte, ma destinata a orientare anche le cause civili. La Corte ha ribadito che l’azione del creditore contro gli ex soci presuppone la prova che essi abbiano effettivamente ricevuto distribuzioni di attivo (denaro o beni) dalla società prima della chiusura. Se tale elemento è contestato, spetta al creditore dimostrare che il socio ha ottenuto qualcosa in base al bilancio finale di liquidazione. Niente attivo, niente responsabilità personale: un ex socio che non ha incassato nulla dalla liquidazione non può essere tenuto a pagare di tasca propria i vecchi debiti sociali.

Non solo: la Cassazione ha chiarito che questa verifica deve essere condotta con rigore e, nel caso dei debiti fiscali, attraverso un accertamento specifico indirizzato a ciascun ex socio. Tradotto in ambito civile, significa che il creditore che vuole rivalersi sugli ex soci dovrà avviare un’azione mirata, provando l’eventuale attivo distribuito. Non basta quindi notificare al volo un decreto ingiuntivo ai soci sperando che nessuno sollevi eccezioni: è fondamentale raccogliere documenti sul bilancio finale, su eventuali riparti di cassa o assegnazioni di beni ai soci, e impostare l’azione legale di conseguenza.

Questo non vuol dire che i creditori di una società estinta siano senza speranza. Al contrario, la legge offre loro strumenti efficaci, ma vanno usati correttamente. Se una società debitrice ha chiuso i battenti, è ancora possibile ottenere giustizia: si può agire contro chi ne ha beneficiato (soci o liquidatore) e, in taluni casi, persino riaprire la liquidazione se emergono attivi significativi trascurati. La Cass. civ., Sez. Un., n. 3625/2025 conferma però che tutto deve avvenire nel rispetto di precise condizioni, a tutela tanto dei creditori quanto degli ex soci inconsapevoli.

Recuperare sì, ma con le strategie giuste (e senza abusi)

Le nuove aperture giurisprudenziali spalancano le porte al recupero di crediti che parevano irrecuperabili. È un’occasione d’oro per molti creditori privati: pensiamo all’imprenditore individuale che dopo aver chiuso la sua S.r.l. scopre di poter ancora incassare vecchi crediti, o al fornitore rimasto impagato da una società estinta che può finalmente tentare di rivalersi sui soci. Tuttavia, recuperare questi crediti richiede strategia, attenzione e conoscenza delle norme. Bisogna muoversi con tempestività (i crediti hanno termini di prescrizione che continuano a decorrere), raccogliere le prove documentali necessarie e seguire le procedure corrette in tribunale.

È importante agire con determinazione ma anche con correttezza. La giustizia offre nuove opportunità ai creditori diligenti, ma non tollera gli abusi. La Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 7299/2025 ha infatti ribadito che frazionare artificiosamente un credito in più cause costituisce un uso distorto del processo. In passato una simile condotta poteva portare all’inammissibilità della domanda; oggi la Cassazione preferisce sanzionarla in modo proporzionato (ad esempio ponendo a carico del creditore le spese legali, anche se vince in parte la causa). Ciò non toglie che il messaggio sia chiaro: vietato spezzettare il credito per fare pressing sul debitore o scegliersi fori più comodi. La pretesa va esercitata con lealtà e in un unico contesto, senza moltiplicare inutilmente le azioni.

Allo stesso tempo, il creditore deve essere vigile. Vigilantibus non dormientibus iura succurrunt insegna un celebre brocardo: il diritto aiuta chi resta vigile, non chi dorme. Se esistono crediti da recuperare, bisogna attivarsi prontamente. Ad esempio, se il debitore è una società ancora attiva ma in odor di liquidazione, conviene attivarsi prima che si cancelli; se invece si è già cancellata, occorre studiare la situazione dei soci e del liquidatore per individuare la strada più efficace (azioni contro i soci beneficiari, azioni di responsabilità verso il liquidatore per omissioni, ecc.). Ogni caso fa storia a sé, ma l’importante è non rassegnarsi e non lasciar perdere. Oggi più che mai, le norme e i tribunali offrono strumenti per ottenere ciò che spetta, a patto di saperli utilizzare.

Conclusioni

Le novità del 2025 in materia di recupero crediti aprono scenari impensabili fino a poco tempo fa. Una società che chiude non getta più un’ombra definitiva sui crediti inevasi: questi possono risorgere e dare soddisfazione agli ex soci diligenti. D’altro canto, i furbi che pensavano di far sparire i debiti dietro la cortina di una liquidazione dovranno ricredersi: i creditori attenti hanno ancora frecce al loro arco per inseguire il dovuto. Siamo di fronte a un riequilibrio importante: la cancellazione di una società non è un colpo di spugna sui diritti patrimoniali, né in attivo né in passivo. Ciò che era giusto pagare, resta dovuto; ciò che era giusto riscuotere, resta esigibile. Certo, muoversi in questo terreno richiede competenze legali aggiornate e una strategia ben congegnata, ma il messaggio ai creditori è incoraggiante: non date per persi i vostri crediti solo perché la controparte “non c’è più”. La legge è dalla vostra parte, se sapete come procedere.

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