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Morosità condominiale: doveri dell’amministratore e rimedi

Morosita condominiale

La gestione dei condòmini morosi mette alla prova amministratori e creditori. Nuove pronunce chiariscono obblighi, responsabilità e strumenti efficaci per recuperare le quote non pagate.

Il problema della morosità in condominio

“I creditori hanno miglior memoria dei debitori.” Questa celebre massima di Benjamin Franklin ricorda una verità fondamentale: chi vanta un credito non dimentica il suo diritto, mentre chi deve pagare talvolta tende a dimenticare la propria obbligazione. Nel contesto condominiale, le morosità – ossia le quote condominiali non pagate dai proprietari – sono purtroppo frequenti e generano tensioni all’interno della comunità di residenti. Gestire i condòmini morosi è un compito delicato: da un lato il condominio (e quindi gli altri proprietari in regola) ha diritto a ricevere i pagamenti dovuti per far fronte alle spese comuni; dall’altro, l’amministratore di condominio ha il dovere legale di attivarsi per recuperare questi crediti, nel rispetto di procedure e termini precisi.

Affrontare la morosità in condominio non è solo una questione di equilibrio economico, ma anche di legalità e doveri. Una lunga tradizione di litigi condominiali conferma il detto latino communio est mater rixarum – la comunione è madre di contese – e le spese condivise sono spesso al centro di queste contese. Ecco perché il legislatore e la giurisprudenza hanno tracciato regole chiare: l’amministratore non può restare passivo di fronte ai mancati pagamenti, pena conseguenze anche gravi per la sua posizione. Nei paragrafi seguenti vedremo quali sono gli obblighi dell’amministratore verso i creditori condominiali, quali responsabilità egli incorre se non agisce e quali strumenti pratici può (e deve) utilizzare per recuperare le quote condominiali non pagate in modo efficace.

Obblighi legali dell’amministratore verso i creditori condominiali

Il codice civile impone all’amministratore di muoversi con sollecitudine contro i condòmini morosi. In particolare, l’art. 1129 c.c. (come modificato dalla riforma del condominio del 2012) stabilisce che l’amministratore deve agire per la riscossione forzosa delle somme dovute entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui il credito esigibile è compreso, salvo sia stato dispensato dall’assemblea. In altre parole, quando un proprietario non paga le sue quote condominiali, l’amministratore ha l’obbligo di procedere rapidamente – tipicamente ottenendo un decreto ingiuntivo – senza attendere oltre questo termine. L’inerzia prolungata non è ammessa: dormientibus non succurrit ius, la legge non soccorre chi dorme (sui propri diritti). Questo principio, applicato al condominio, significa che un amministratore che “dorme” e non persegue i morosi rischia sanzioni sul piano giuridico.

Le recenti pronunce giudiziarie hanno ribadito con forza tali obblighi. Ad esempio, il Tribunale di Messina, con ordinanza del 16/07/2025, ha disposto la revoca giudiziale di un amministratore proprio a causa dell’omesso recupero dei crediti condominiali. In quel caso il giudice ha ritenuto la prolungata inattività una grave irregolarità ai sensi dell’art. 1129 c.c., tale da giustificare la rimozione dall’incarico. È importante notare che la revoca è stata confermata anche se il condominio era riuscito comunque a garantire i servizi essenziali: il solo fatto di non aver agito entro il semestre prescritto è stato valutato sufficiente per far venir meno la fiducia nell’amministratore. Il messaggio è chiaro: non agire contro i morosi è una violazione dei doveri fiduciari e gestionali che può costare il posto all’amministratore.

Un altro obbligo cruciale è quello di collaborazione con eventuali creditori esterni del condominio. Capita infatti che il condominio stesso abbia debiti verso fornitori o altri soggetti; in tal caso, la legge (art. 63, comma 1, disp. att. c.c.) prevede che questi creditori possano rivolgersi direttamente ai singoli condòmini morosi per ottenere il pagamento dei contributi dovuti. Ma per farlo, essi hanno bisogno di sapere chi sono i morosi e quali quote restano impagate. Fornire tali informazioni è un dovere preciso dell’amministratore. Su questo punto è intervenuta un’importante pronuncia della Cassazione: Cass. civ., Sez. II, sent. 15/01/2025 n. 1002 ha stabilito che l’obbligo di comunicare ai creditori i nominativi dei condòmini morosi (e le rispettive quote millesimali) grava direttamente e personalmente sull’amministratore, e non sul condominio nel suo insieme. La Suprema Corte ha chiarito che tale obbligo di trasparenza verso i creditori è un dovere legale autonomo dell’amministratore, la cui omissione costituisce in sé un illecito (responsabilità extracontrattuale) a tutela dei creditori stessi. In altre parole, se l’amministratore “nasconde” o ritarda nel comunicare chi non paga, può risponderne in proprio. Questa pronuncia rafforza il principio di piena collaborazione: l’amministratore è il custode delle informazioni contabili e deve metterle a disposizione per permettere ai creditori di tutelarsi.

Responsabilità in caso di inerzia o gestione scorretta

Visti gli obblighi, quali sono le conseguenze per l’amministratore che non li rispetta? Abbiamo citato la possibilità di revoca dell’incarico per grave irregolarità. Ma vi è di più: l’amministratore può dover risarcire i danni causati dalla sua mancata azione. Pensiamo al caso in cui, a causa dell’inerzia nel recuperare le quote, il condominio si sia trovato in difficoltà economica (ad esempio non potendo pagare a sua volta i fornitori, subendo la sospensione di servizi) oppure abbia dovuto ricorrere tardi a vie giudiziarie con aggravio di spese.

Proprio su questo scenario si è espressa una sentenza del 2025, indicando quando scatta la responsabilità risarcitoria. Il Tribunale di Nocera Inferiore, sent. n. 1975/2025 del 11/06/2025, ha condannato un ex amministratore a risarcire i danni al condominio per omesso recupero delle morosità. In quel caso, l’amministratore uscente era stato citato in giudizio dal nuovo amministratore in rappresentanza del condominio, lamentando che la precedente gestione avesse aggravato l’esposizione debitoria dell’ente non attivandosi contro i morosi. Il Tribunale ha riconosciuto che questa condotta omissiva violava gli obblighi fiduciari (ex art. 1710 c.c.) e aveva provocato un danno al condominio, ad esempio costringendolo ad instaurare contenziosi evitabili e lasciando insoluti crediti che avrebbero potuto essere recuperati prima.

Tuttavia, la sentenza in questione ha anche precisato un punto fondamentale: il danno deve essere provato. Nel caso specifico, non essendo stato possibile quantificare con precisione l’ammontare del pregiudizio economico sofferto dal condominio per l’omissione, il giudice ha emesso una condanna generica, da quantificare in separata sede. Ciò significa che il diritto al risarcimento è stato riconosciuto “in astratto”, ma per ottenere una somma concreta il condominio dovrà dimostrare nel dettaglio le perdite subite (maggiori interessi pagati, spese legali ulteriori, insolvenze non più recuperabili, ecc.). Questo principio vale in generale: il semplice inadempimento dell’amministratore non comporta automaticamente una somma dovuta a titolo di risarcimento, bisogna collegare quella negligenza a un danno effettivo e quantificabile. In ogni caso, il fatto stesso che un tribunale abbia pronunciato una condanna è un forte segnale: l’amministratore negligente può trovarsi a dover ripagare di tasca propria le conseguenze delle morosità non perseguite.

Ripartizione delle spese di recupero: chi paga i costi delle lettere e delle azioni legali?

Un aspetto pratico e spesso fonte di contestazione riguarda le spese per recuperare i crediti condominiali. Ad esempio: l’amministratore invia una lettera di diffida tramite un avvocato al condomino moroso; la parcella di questa attività di sollecito, chi deve sopportarla? Si può addebitare interamente al condomino moroso aggiungendola al suo debito?

La risposta la fornisce la giurisprudenza in modo abbastanza netto: salvo diversa convenzione, le spese legali stragiudiziali per sollecitare il pagamento vanno ripartite tra tutti i condomini secondo i millesimi, e non imputate solo al moroso. Il ragionamento è il seguente: l’attività svolta dal legale (diffida, costituzione in mora) è un servizio reso nell’interesse dell’intero condominio, perché mira a recuperare fondi che sono di tutti. Dunque, come qualsiasi spesa di gestione, inizialmente va suddivisa fra tutti i proprietari. Solo eventualmente, se poi si arriva a una causa, il giudice potrà condannare il condomino moroso a rifondere anche queste spese.

Questo orientamento è stato recentemente confermato dal Tribunale di Pavia, sent. n. 178/2025 (pubblicata il 10/02/2025). Nel caso esaminato, un’assemblea condominiale aveva approvato un consuntivo dove imputava a una condomina morosa un importo di circa 260 euro per spese legali stragiudiziali (la lettera di sollecito inviata dall’avvocato del condominio). La condomina ha impugnato la delibera sostenendo che tale addebito fosse illegittimo. E il Tribunale le ha dato ragione: ha dichiarato nulla la delibera nella parte in cui poneva a carico esclusivo della morosa le spese dell’avvocato, affermando che queste, in assenza di un accordo contrario, devono gravare su tutti i condòmini. In motivazione, il giudice pavese ha richiamato la natura collettiva dell’intervento di recupero: tutta la compagine condominiale trae beneficio dall’azione tesa a ripristinare la provvista comune, quindi i costi di tale azione vanno ripartiti secondo le tabelle millesimali generali, e non come spesa “personalizzata” sul singolo inadempiente. Si tratta di un indirizzo in linea con precedenti rigorosi della Cassazione in materia, e di cui amministratori e assemblee devono tener conto per evitare delibere impugnabili.

In sintesi, il condomino moroso pagherà interessi e spese solo al termine del procedimento giudiziale, se il giudice lo condannerà a rimborsarle. Nella fase iniziale, invece, le spese di messa in mora e i costi amministrativi relativi al recupero rientrano tra le spese generali. Questo punto va spiegato chiaramente ai condòmini, per evitare l’aspettativa (errata) che ogni costo possa essere immediatamente scaricato sul debitore: la legge e i giudici proteggono quest’ultimo da aggravi arbitrari, pur senza sacrificare il diritto del condominio a recuperare il dovuto in sede appropriata.

Strumenti e strategie per il recupero crediti condominiali

Alla luce degli obblighi e dei principi visti, quali sono gli strumenti concreti che l’amministratore – spesso affiancato da un legale – può utilizzare per recuperare le quote non pagate in modo rapido ed efficace? Vediamoli in ordine operativo:

  • Sollecito informale e costituzione in mora: Appena emerge una situazione di morosità (ad esempio trascorsi i termini di pagamento delle rate condominiali), l’amministratore dovrebbe contattare il condomino interessato. Inizialmente può bastare un promemoria cordiale, ma se il ritardo persiste occorre inviare una lettera di diffida formale (meglio se a firma di un avvocato). Questo atto costituisce in mora il debitore, interrompe eventualmente la prescrizione e prepara il terreno per le fasi successive. È importante documentare il sollecito (tramite raccomandata A/R o PEC) per poter dimostrare di aver tentato il recupero stragiudiziale.

  • Decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo: Se il moroso non paga nonostante la diffida, si passa rapidamente alle vie legali. Lo strumento tipico è il ricorso per decreto ingiuntivo: trattandosi di credito fondato su documenti (il riparto approvato dall’assemblea) e relativo a obblighi di pagamento di somme certe, liquide ed esigibili, il giudice emette un’ingiunzione di pagamento. Grazie all’art. 63 disp. att. c.c., il decreto ingiuntivo ottenuto dall’amministratore contro il condomino moroso è “provvisoriamente esecutivo”: ciò significa che è immediatamente esecutivo per legge, anche se il debitore propone opposizione. Questa è una notevole agevolazione per il condominio creditore, perché consente di procedere subito al pignoramento dei beni del debitore senza attendere l’esito di un eventuale giudizio di opposizione. Inoltre, sempre l’art. 63 prevede che l’amministratore non abbia bisogno di autorizzazione dell’assemblea per procedere in giudizio: può (anzi, deve) agire autonomamente nei limiti delle sue attribuzioni, salvo riferire alla prima assemblea utile.

  • Misure cautelative sul bene dell’obbligato: Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, l’amministratore – tramite il legale – può iscrivere ipoteca giudiziale sull’unità immobiliare del condomino moroso. Questo è consigliabile soprattutto se il debitore continua a non pagare e magari sta provando a vendere l’appartamento: l’ipoteca tutela il condominio, vincolando l’immobile al soddisfacimento del credito. In caso di vendita, l’acquirente dovrà fare i conti con il debito pregresso: ricordiamo infatti che chi subentra in un condominio è obbligato solidalmente col venditore a pagare i contributi dell’anno in corso e di quello precedente (art. 63, comma 4, disp. att. c.c.). Dunque, il credito condominiale “segue” l’immobile entro questi limiti temporali, offrendo un’ulteriore chance di recupero.

  • Esecuzione forzata: Se nonostante l’ingiunzione il condomino persiste nel mancato pagamento, si procede con il pignoramento. In ambito condominiale, le forme più efficaci sono il pignoramento immobiliare (sull’appartamento del debitore) oppure il pignoramento presso terzi (ad esempio dello stipendio, del conto corrente bancario, o dell’affitto se l’unità è locata a terzi). L’amministratore dovrà valutare, con l’ausilio degli avvocati e magari tramite indagini patrimoniali, qual è la via esecutiva più promettente per recuperare le somme. È utile ricordare che la legge pone alcuni limiti a tutela del debitore: per esempio, se si pignora lo stipendio o la pensione, c’è una quota massima impignorabile (di solito il quinto, con frazioni ridotte per stipendi bassi) e, in caso di accredito sul conto, una soglia di importo mensile protetta. Questi aspetti vanno considerati per scegliere la strategia giusta.

  • Sospensione dei servizi comuni: Un ulteriore strumento previsto dall’art. 63 disp. att. c.c. è la facoltà per l’amministratore di sospendere al condomino moroso l’utilizzo dei servizi comuni suscettibili di godimento separato (ad esempio: il riscaldamento centralizzato, se tecnicamente divisibile; l’accesso a servizi secondari a pagamento, come la piscina condominiale, la portineria extra, ecc.). Questa misura non richiede l’intervento del giudice e mira a fare leva sull’interesse del debitore a usufruire di quei servizi, inducendolo a pagare. Ovviamente non si possono interrompere forniture essenziali e indivisibili (ascensore, luce scale, acqua per uso domestico), ma dove applicabile è un deterrente significativo.

  • Interessi e maggiorazioni: Dalla data in cui le singole rate erano esigibili, il condomino in ritardo deve corrispondere gli interessi moratori sulle somme dovute. Salvo diversa delibera assembleare che stabilisca un tasso differente, si applicano gli interessi legali annuali. Può sembrare un importo modesto, ma col protrarsi della morosità gli interessi si accumulano e, soprattutto, rappresentano il riconoscimento del danno da ritardato pagamento subito dal condominio. In alcuni casi i regolamenti condominiali prevedono penali o interessi convenzionali più elevati per scoraggiare i ritardi: queste clausole, se approvate all’unanimità o comunque valide, possono essere applicate e chi non paga si troverà un debito crescente nel tempo.

In tutte queste fasi, la parola d’ordine è tempestività e rigore formale. Un amministratore diligente monitora costantemente lo stato dei pagamenti, avvisa subito chi risulta in arretrato e, trascorsi pochi mesi senza esito, passa alle vie legali senza attendere oltre. Questo non solo perché la legge lo impone, ma anche per ragioni pratiche: più si aspetta, più aumenta il rischio che il debitore diventi insolvente, alieni i propri beni o che altri creditori si facciano avanti erodendo le sue risorse. Agire presto significa spesso recuperare di più e più in fretta.

Va anche evidenziato che un’efficace gestione del recupero crediti condominiali tutela gli stessi condòmini in regola: se i morosi vengono perseguiti con successo, entrano nelle casse comuni i fondi necessari e non sarà necessario (o lo sarà in misura minore) chiedere versamenti straordinari ai proprietari virtuosi. Al contrario, se l’amministratore lascia incancrenire la morosità, il condominio potrebbe trovarsi costretto a deliberare contributi extra a carico di tutti per far fronte alle bollette e ai fornitori – il che aggiunge ingiustizia a ingiustizia. Ecco perché il ruolo dell’amministratore, coadiuvato da legali esperti in recupero crediti, è cruciale per mantenere in salute il bilancio condominiale e garantire equità.

Conclusioni: prevenire e affrontare la morosità con professionalità

In definitiva, la gestione dei crediti condominiali insoluti richiede un mix di competenza giuridica, fermezza e chiarezza verso tutti i condomini. L’amministratore non deve temere di essere “impopolare” con i morosi: il suo compito è far rispettare le regole e tutelare la collettività. D’altro canto, è bene che l’assemblea supporti e comprenda le azioni intraprese, sapendo che recuperare un credito richiede tempi tecnici e che l’importante è porre in essere tutti gli atti necessari senza lassismi. La recente giurisprudenza – dalle pronunce di merito come Trib. Pavia 178/2025 o Trib. Nocera Inf. 1975/2025 fino alla Cassazione n. 1002/2025 – fornisce all’amministratore un vero e proprio “scudo” normativo: egli è legittimato (anzi obbligato) ad agire energicamente, e chi non lo fa può essere chiamato a risponderne. In quest’ottica, svolgere con rigore l’attività di recupero crediti non è solo una facoltà, ma diventa una forma di auto-tutela per l’amministratore stesso, che così evita di incorrere in sanzioni o richieste di danni.

Per i condomini è fondamentale prevenire la morosità dove possibile, scegliendo amministratori qualificati e mantenendo un dialogo aperto: a volte piani di rientro concordati possono evitare liti, purché vi sia buona fede. Ma quando la morosità è conclamata, occorre agire nei binari legali descritti. In un condominio ben gestito, si conoscono diritti e doveri di tutti: chi è in difficoltà può parlarne con l’amministratore prima che scatti la diffida, chi subisce la morosità altrui deve sapere che esistono strumenti per recuperare il dovuto.

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