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La Cassazione sulle cessioni di credito: prove più rigorose

Cessione crediti recupero

La Suprema Corte impone al cessionario un onere probatorio serrato: occorre dimostrare che il credito era incluso nel portafoglio ceduto e che la titolarità è tracciata integralmente; documenti generici o la sola pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non bastano più

Contesto: cessioni di credito in blocco e prova della titolarità
Nel mondo del recupero crediti è prassi frequente che le banche e le finanziarie cedano in blocco portafogli di crediti inesigibili o “sofferenze” a società specializzate (ad esempio, veicoli di cartolarizzazione). Queste cessioni di credito in blocco, regolate dall’art. 58 del Testo Unico Bancario, avvengono tramite una comunicazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale anziché con notifica individuale ad ogni debitore. Tale meccanismo semplifica il trasferimento massivo dei crediti, ma pone un problema cruciale: come provare, in caso di contestazione, che uno specifico credito faceva davvero parte del pacchetto ceduto? In passato spesso si dava per scontato che la produzione dell’estratto del contratto di cessione e la copia dell’avviso in G.U. fossero sufficienti a legittimare la società cessionaria a riscuotere. Tuttavia, questa fiducia poteva rivelarsi malriposta se il debitore contestava la titolarità del credito. La ricerca della verità diventa in questi casi un’indagine quasi investigativa: come acutamente osservava Sherlock Holmes, «Alla verità si arriva soltanto mediante il faticoso processo di eliminare il falso». In altri termini, per accertare realmente chi è il creditore occorre eliminare ogni incertezza o lacuna documentale. Proprio su questo tema, negli ultimi tempi, la Cassazione è intervenuta con decisione, delineando requisiti probatori molto più stringenti per il cessionario.

La svolta della Cassazione: onere probatorio rafforzato
Le recenti pronunce della Suprema Corte hanno imposto un vero giro di vite sulla prova della titolarità del credito ceduto. Il principio di fondo è una rinnovata centralità dell’onere della prova a carico di chi agisce per riscuotere un credito altrui: ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat (l’onere della prova spetta a chi afferma, non a chi nega). In applicazione di questo brocardo, la Cassazione ha stabilito che spetta alla società cessionaria dimostrare in modo puntuale di essere effettivamente subentrata nel diritto di credito. Ad esempio, Cass. civ., Sez. I, sent. n. 841/2025 ha chiarito che la sola esibizione della copia dei documenti attestanti l’esistenza del credito (come estratti conto o contratti originari) non equivale a provarne la titolarità in capo al cessionario. È necessario provare, innanzitutto, che il credito in questione rientrava nell’elenco o nei criteri dei crediti ceduti dal cedente. Ciò significa fornire evidenza che quel singolo rapporto rientrava tra quelli oggetto del contratto di cessione (ad esempio perché incluso nell’elenco allegato, o perché rispondente ai criteri indicati – come tutti i crediti verso determinati debitori o di una certa natura – previsti nell’operazione). Inoltre, la prova deve coprire per intero la catena dei passaggi: se il credito ha avuto trasferimenti intermedi (fusione della banca originaria, ulteriori cessioni a cascata, ecc.), il cessionario ultimo deve documentare anche questi, così da tracciare senza vuoti la continuità dei trasferimenti fino a sé. In un’altra decisione chiave, Cass. civ., Sez. I, sent. n. 15088/2025, la Corte ha ribadito che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione, di per sé, ha solo valore indiziario. In pratica, l’inserzione in Gazzetta libera il cedente dall’obbligo di notifica ai debitori, ma non esonera il cessionario dall’onere di provare la propria legittimazione se questa viene contestata. La Gazzetta può costituire un indizio utile – specie se l’avviso elenca dettagliatamente i crediti o i criteri di inclusione – ma non basta da sola a convincere il giudice. Su questa linea si pone anche Cass. civ., Sez. I, sent. n. 23834/2025, che ha sanzionato con la perdita della causa il cessionario incapace di dimostrare in modo completo l’inclusione del credito nel perimetro ceduto. In sostanza, la Cassazione ha inaugurato un orientamento intransigente: o il nuovo creditore prova con rigore di avere davvero acquistato quello specifico credito, oppure la sua azione di recupero viene dichiarata inammissibile o infondata.

Implicazioni pratiche e consigli per i creditori
Questo nuovo orientamento giurisprudenziale ha importanti ricadute operative per chi acquista crediti e intende recuperarli. Anzitutto, i cessionari (società di recupero, factor, SPV di cartolarizzazione) devono adottare un approccio molto più diligente nella raccolta delle prove documentali al momento dell’acquisto del portafoglio. È fondamentale ottenere dal cedente elenchi dettagliati dei crediti ceduti, contratti e attestazioni che li riguardano, nonché assicurarsi che nell’atto di cessione siano chiaramente indicati i criteri di individuazione dei crediti trasferiti. Ogni documento è prezioso: il mancato possesso di un tassello potrebbe significare l’impossibilità di far valere il credito in giudizio. Come hanno insegnato le pronunce della Cassazione, l’apparente formalità della pubblicazione in G.U. o di una dichiarazione generica non mette al riparo da contestazioni se poi, in causa, manca la prova “granitica” della titolarità. D’altro canto, i debitori avranno gioco facile nel sollevare eccezioni se intravedono falle nella documentazione dell’avversario: contestare l’effettiva titolarità del credito è una difesa ormai legittima e spesso vincente, proprio alla luce dei nuovi orientamenti. Per i creditori originari, invece, questo scenario implica che vendere crediti “a pacchetto” non significa automaticamente garantire l’azione di recupero di chi subentra: se la cessione non è accompagnata da informazioni e documenti adeguati, il credito potrebbe restare inesigibile anche dopo la vendita. In definitiva, “nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet” – nessuno può trasferire più diritti di quanti ne abbia – e tale massima si riflette nella necessità di trasferire anche tutte le prove della sussistenza di quei diritti. Il consiglio pratico per gli operatori del recupero crediti è chiaro: massima accuratezza e tempestività nella prova. Bisogna agire come moderni “detective” del credito, verificando ogni elemento fin dal principio. Meglio predisporre sin dall’atto di acquisto un dossier completo per ciascun credito, così da essere pronti a fronteggiare eventuali contestazioni in tribunale. Solo una gestione accorta e documentata del credito ceduto permette di trasformare realmente un titolo di credito acquistato in liquidità concreta. La posta in gioco è alta: senza prove solide il diritto del creditore rischia di svanire nel nulla, vanificando l’investimento fatto nel rilevare il credito. Chi si muove con diligenza e precisione, invece, potrà far valere efficacemente le proprie ragioni e ottenere sentenze di accoglimento. Alla fine, come recita un antico adagio, “le parole volano, gli scritti rimangono”: nel recupero crediti ciò che conta è ciò che si riesce a dimostrare su carta.

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