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Cessione in blocco dei crediti: i nuovi oneri probatori

Cessioni in blocco

La Cassazione impone nuovi oneri di prova: chi compra crediti in blocco deve dimostrare con documenti di esserne il titolare, specie se il debitore contesta


Cessione in blocco dei crediti: come funziona e perché viene utilizzata

La cessione in blocco dei crediti è uno strumento con cui banche e imprese cedono grandi portafogli di crediti, spesso crediti deteriorati (NPL), a società di recupero o veicoli finanziari dedicati. A differenza della cessione di un singolo credito, disciplinata dal codice civile, la cessione in blocco avviene ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993). Questa norma permette di trasferire molti crediti in un’unica operazione, pubblicando un avviso di cessione nella Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel Registro delle Imprese, senza dover notificare individualmente ogni debitore ceduto. L’obiettivo è snellire e velocizzare la cartolarizzazione e dismissione dei crediti, mettendo a disposizione dei creditori strumenti più rapidi per recuperare i propri crediti insoluti attraverso terzi.

Tuttavia, questa procedura semplificata ha generato dubbi e controversie sulla tutela del debitore e sulla prova effettiva della cessione. In teoria, dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il debitore dovrebbe sapere che il proprio debito è stato ceduto e non può più pagare validamente il vecchio creditore originario. Ma cosa accade se il debitore contesta la cessione, ad esempio negando che il suo specifico debito rientrasse tra quelli ceduti? Fino a che punto l’acquirente del credito (cessionario) può limitarsi a esibire l’avviso pubblicato e la dichiarazione di avvenuta cessione? Quando, invece, deve provare in modo più sostanziale di aver davvero acquisito quel credito?

Onere della prova: "ei incumbit probatio qui dicit..."

Un antico brocardo latino recita: "Ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat". L’onere della prova ricade su chi afferma, non su chi nega. Questa massima è particolarmente pertinente nel campo delle cessioni di credito. Se un creditore cessionario afferma di aver acquisito un credito e vuole riscuoterlo, dovrà essere in grado di dimostrare la propria titolarità se ciò viene contestato.

In passato non sono mancate controversie che hanno contrapposto cessionari di crediti e debitori (o altri creditori concorrenti nelle procedure concorsuali) proprio sul terreno della prova. Immaginiamo un caso tipico: una banca cede a una società di recupero un pacchetto di crediti in sofferenza, includendo presumibilmente anche il credito verso il Sig. Rossi. Se il Sig. Rossi fallisce, la società cessionaria chiederà di insinuare il proprio credito nel fallimento. Ma il curatore fallimentare, a tutela del ceto creditorio, potrebbe eccepire che non vi sia certezza sull’inclusione di quel credito nella cessione, specialmente se manca un elenco dettagliato dei crediti ceduti. Oppure lo stesso debitore, in una causa di pagamento, potrebbe sostenere che il nuovo attore non ha provato di essere il legittimo titolare del credito originariamente vantato dalla banca.

Di fronte a queste contestazioni, la giurisprudenza della Cassazione negli ultimi anni ha progressivamente alzato l’asticella dell’onere probatorio a carico del cessionario. Non basta più sostenere che “è tutto pubblicato in Gazzetta, quindi il debitore è stato avvisato”. Occorre sostanza: documenti, contratti e evidenze concrete che dimostrino come quel preciso credito fosse compreso nel perimetro dell’operazione di cessione.

Le sentenze della Cassazione nel 2025: prove più rigorose per il cessionario

Il 2025 ha portato ulteriore chiarezza su questo tema. Con tre pronunce gemelle emesse il 25 agosto 2025 (Cass. civ., Sez. I, ord. nn. 23834, 23849 e 23852/2025), la Corte di Cassazione ha ribadito che spetta al cessionario fornire una prova rigorosa della propria legittimazione. In queste cause, alcuni cessionari avevano chiesto di essere ammessi allo stato passivo di procedure fallimentari, producendo a supporto solo la copia dell’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale e una dichiarazione della banca cedente che attestava la vendita. Sia il giudice delegato sia, in sede di opposizione, il tribunale fallimentare avevano escluso tali crediti, ritenendo quei documenti insufficienti a provare che i crediti specifici fossero realmente trasferiti.

La Cassazione ha confermato queste esclusioni, sancendo principi importanti. In particolare, ha affermato che il cessionario deve dimostrare non solo che i crediti azionati rientrassero nel novero di quelli ceduti in blocco, ma anche che non fossero tra quelli esclusi dall’operazione, in base ai criteri stabiliti nel contratto di cessione. Inoltre, ha sottolineato che il semplice possesso, da parte del cessionario, di copie dei documenti originari che comprovavano il credito non equivale a provare di esserne divenuto titolare. In altri termini, se il debitore (o il curatore) contesta la titolarità, l’acquirente del credito deve fornire elementi ulteriori rispetto alla pubblicazione in Gazzetta: ad esempio, il contratto di cessione integrale, gli allegati con i criteri di individuazione dei crediti ceduti, eventuali elenchi nominativi o estratti conto che includano il debitore in questione.

Questa linea rigorosa non nasce nel vuoto, ma si inserisce in un orientamento già delineato da precedenti decisioni (tra cui Cass. civ., Sez. I, ord. n. 841/2025 e n. 5478/2024). Il messaggio che arriva dalla Suprema Corte è chiaro: pubblicità e forma non bastano, serve sostanza e chiarezza. L’operazione di cessione in blocco, pur validamente effettuata nelle forme di legge, non esime chi la invoca dagli oneri probatori tipici di qualsiasi successione nel credito.

Implicazioni pratiche: come tutelarsi nelle cessioni di crediti

Per chi acquista crediti in blocco, queste sentenze sono un monito a operare con estrema attenzione e trasparenza. Sul piano pratico, un cessionario che intenda procedere al recupero di crediti acquisiti deve:

  • Predisporre un dossier completo: conservare il contratto di cessione e tutti i suoi allegati, con i dettagli dei crediti inclusi ed esclusi. Idealmente, ottenere dalla cedente elenchi nominativi o codici identificativi dei crediti ceduti.

  • Verificare i criteri di cessione: assicurarsi di poter dimostrare che ciascun credito rientra nei criteri stabiliti (esempio: “tutti i crediti in sofferenza al 31/12/2024 sopra i 100 mila euro” – il credito in questione soddisfa tali requisiti?).

  • Documentare i passaggi intermedi: se il credito ha avuto più trasferimenti (ad es. banca A cede a veicolo B, poi B a società C), occorre tracciare tutta la catena con la relativa documentazione.

  • Agire tempestivamente: qualora il debitore sia in procedura concorsuale, insinuarsi al passivo nei termini di legge, ma con la consapevolezza di dover supportare la domanda con la documentazione necessaria a prova della cessione.

Adottando queste precauzioni, il cessionario riduce il rischio di vedere respinta la propria azione esecutiva o la domanda di ammissione al passivo per insufficienza di prove. Dal punto di vista del debitore, le pronunce del 2025 offrono una tutela: se un soggetto diverso dall’originario creditore reclama un pagamento, il debitore ha diritto di esigere prova chiara della legittimazione di quel soggetto (e di opporsi in mancanza di essa). Non si tratta di cavilli, ma di garanzie fondamentali per evitare richieste indebite o duplicazioni di pagamento.

Conclusioni

Le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali sul recupero crediti mostrano la ricerca di un equilibrio tra efficacia delle procedure e tutela dei diritti di tutte le parti. Nel caso delle cessioni in blocco, la Cassazione ha voluto mettere paletti a garanzia della trasparenza: "nemo dat quod non habet", nessuno può trasferire (o pretendere) un diritto che non ha. Chi compra crediti in massa deve poter dimostrare di avere davvero in mano quel credito specifico quando va a riscuoterlo.

In definitiva, memoria ferrea e documenti alla mano: il creditore cessionario che arriva preparato in tribunale, forte di tutte le prove del proprio diritto, potrà affrontare con successo anche le contestazioni più ostinate. E come ricorda la saggezza popolare, "gutta cavat lapidem" – la goccia scava la pietra: costanza e determinazione nel far valere le proprie ragioni possono portare al risultato sperato.

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